I cinghiali nel Parco del Taro

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riccardo de vivo
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I cinghiali nel Parco del Taro

Messaggioda riccardo de vivo » lun 28 feb 2022, 19:26

Ieri pomeriggio sono stato a fare una passeggiata nel Parco del Taro, zona sotto il ponte per Collecchio. Sono andato in shock. Di devastazioni dovute ai cinghiali ne ho viste tante in vita mia, anche in zone toscane che si proclamano in situazione di emergenza, ma quello che ho incontrato ieri le supera tutte. La domanda è ovvia: ma quanti cinghiali si sono ammucchiati nel parco del Taro? Aree enormi del greto assodato sono state scavate senza che si sia salvato un metro quadro di superficie. In quelle aree la flora spontanea non esiste più, chiuso il discorso. Bella salvaguardi della biodiversità! Comunque lo abbiamo capito: all'atto pratico ai Parchi della nostra regione della flora spontanea gliene frega proprio poco. Nelle foreste romagnole ho visto distruggere in sostanza completamente una delle due uniche stazioni italiane di Epipactis greuteri: trent'anni fa vi erano migliaia e migliaia di piante di Epipactis, una foresta meravigliosa che ospitava anche una specie di Epipactis nuova, non ancora determinata. Due anni fa ne rimanevano tre piante, estinta prima di essere determinata! Da decenni il Parco ha incentivato le popolazioni di ungulati, cervi, caprioli e compagnia bella. Alcuni anni fa furono invitati appassionati da tutta Italia, per censire orgogliosamente tanta abbondanza. Solo che in faggeta nuda le Epipactis sono tra le pochissime specie in grado di vivere. Ovvio che gli ungulati, portati ad altissimi livelli di densità, le Epipactis se le sono brucate tutte, le hanno praticamente estinte: direi una convincente gestione di equilibrio biologico! Non so se il Parco del Taro persegua la stessa cecità nei confronti della vita botanica certo, se non se ne fosse accorto, la flora sul suo territori non gode di buona salute e non per avversità naturali, ma per scelte di gestione. Ma se la flora interessa poco o nulla, parliamo allora di qualcosa che tradizionalmente interessa molto. Sempre ieri ho visto che tutta la zona devastata da una presenza di cinghiali sicuramente non in equilibrio, è all'interno di una tabellatura di divieto di accesso per quattro mesi, a protezioni di uccelli nidificanti, sicuramente si tratterà di specie rare. Ebbene si impedisce l'accesso all'uomo per ragioni di disturbo, però si lasciano vagare branchi di ungulati, che sono distruttori metodici di uova e di nidiacei? Spero si sappia che il cinghiale possiede un olfatto superiore ai canidi e si nutre con metodo e accanimento del contenuto dei nidi. In una situazione come quella vista da me ieri sperare di salvare qualche nido è ipotesi davvero improbabile. Ma qui si tabella per l'uomo e si ha la coscienza a posto. Come nelle aree di peste suina, in cui il provvedimento è stato semplicemente di impedire l'accesso all'uomo, che dal virus non è minimamente toccato o contagiato. Insomma, come se per proteggerci dal Covid avessimo deciso di abbattere gli ungulati! La logica, da un po' di tempo, sembra essersi assentata dall'Italia. Comunque, a testimonianza delle mie parole, pubblico immagini di quanto ho visto, giusto per capire se abbia esagerato in qualcosa. E naturalmente pubblico anche una delle tabelle di proibizione presenti, chiedendo se vi sia coerenza tra la giusta protezione di nidificazioni rare e una situazione di sovrappopolazione di uno dei più temibili predatori di nidiacei.
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riccardo de vivo
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Re: I cinghiali nel Parco del Taro

Messaggioda riccardo de vivo » lun 28 feb 2022, 19:28

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Luigi Ghillani
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Re: I cinghiali nel Parco del Taro

Messaggioda Luigi Ghillani » ven 4 mar 2022, 18:44

Altro che trattori! I cinghiali sono aratori professionisti. Ormai si sono rotti tutti gli equilibri e i lupi non sono sufficienti a regolare gli ungulati. I cinghiali sono evidentemente in espansione. Le orchidee ne fanno le spese. Che fare con la gestione di questa fauna invasiva?
Luigi

frahome
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Re: I cinghiali nel Parco del Taro

Messaggioda frahome » sab 5 mar 2022, 23:30

Mi chiedo se siano disponibili dati che documentino la densità di cinghiali per ettaro in condizioni "naturali" (diciamo precedentemente all'estinzione locale del lupo) da comparare con le correnti densità. Poi c'è da capire se sia solo un problema di densità o anche di comportamento perché come ormai sappiamo i predatori non influiscono solo sul numero ma anche sul comportamento delle prede.
Ho visto queste estese arature anche nei Boschi di Carrega in un'area molto ricca di fiori di sottobosco (ellebori, scille, denti di cane, aglio pendolino, polmonarie ecc) ed ogni anno mi meraviglio come tornino a fiorire cospicuamente nonostante l'aratura (la prima volta che ho visto l'aratura pensavo che l'anno dopo non ci sarebbe stato più nulla). Spero resistano.

picollo
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Re: I cinghiali nel Parco del Taro

Messaggioda picollo » dom 6 mar 2022, 10:32

Vista dall'alto un'area "visitata" dai cinghiali alle pendici di Monte Castione (Parco Boschi Carrega, zona Maiatico) sembra bombardata. Trattasi di zona coltivata al limitare del bosco, non credo che il contadino sia stato molto contento dell'aratura gratuita... :roll:

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frahome
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Re: I cinghiali nel Parco del Taro

Messaggioda frahome » dom 6 mar 2022, 12:06

Foto d'impatto. Credo che nei casi di conflittualità come questi e non solo con il cinghiale ma anche altre specie selvatiche ed indipendentemente dalla densità, sia necessario inserire nei costi "d'impresa" misure di mitigazione come le recinzioni elettrificate. Credo che la vecchia idea di fare agricoltura cercando di eliminare tutto quello che all'apparenza è dannoso per essa debba essere superata (lo stesso vale per la logica dell'uso dei pesticidi).
Noi come destinatari dei prodotti agricoli dovremmo essere disposti a riconoscere questo tipo di impegno e scegliere e supportare gli agricoltori che lavorano in questo senso. Lo stesso dovrebbero fare le istituzioni.

riccardo de vivo
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Re: I cinghiali nel Parco del Taro

Messaggioda riccardo de vivo » lun 7 mar 2022, 16:27

I due interventi di Francesca mettono sul piatto dei temi interessanti, che meritano sicuramente approfondimento. Mi interesso di equilibrio in Natura da ventisette anni e mi sono fatto qualche esperienza e qualche idea, che di seguito riporto. Sia chiaro senza nessun intento di polemica o prevaricazione dell’altrui pensiero. Francesca ed ognuno di Voi valuterà se vi sia qualche briciola di conoscenza e di buon senso, oppure se le mie siano parole al vento. Parliamo di cinghiali: giusto chiederci quale densità potessero avere questi ungulati nella nostra terra in tempi lontani da noi. Purtroppo dati certi non esistono, tecniche e certificazioni di censimento sono storia moderna, e inoltre è bene sottolineare come una vasta letteratura mitteleuropea testimoni, anche in tempi recenti o contemporanei, l’estrema inattendibilità dei risultati di censimento: quasi sempre i dati risultano inferiori, o molto inferiori alla reale consistenza delle popolazioni. Comunque sommando considerazioni storiche, logiche, antropologiche e zoologiche è coerente giungere a una conclusione precisa: i cinghiali, anche quando fossero presenti sulla nostra terra, lo furono sempre in quantità esigua. E comunque nessuno ha mai dimostrato, anche in quei tempi lontani, che non fossero la conseguenza di una introduzione. Gli ungulati e tra essi i cinghiali, hanno sempre rappresentato la selvaggina nobile per la caccia e il conseguente consumo di carne da parte di nobili e potenti del tempo. All’uopo venivano create ampie zone riservate e protette da guardiacaccia, che nulla avevano a spartire con l’idea attuale di tale professione. In realtà si trattava di “bravi” spietati, disposti a tutto per salvaguardare le prede del “Signore”. Ricordo che in più stati, ducati, contadi la pena per il bracconaggio era rappresenta dalla morte. Era il solo sistema per cercare di contenere il fenomeno, eppure qualche bracconiere continuava ad esistere. Cosa ci dice tutto questo? Che fuori delle sorvegliatissime riserve del “Signore” un ungulato in grado di fornire carne a popolazioni sottonutrite non sopravviveva affatto. Altro che lupi, il vero predatore era l’uomo! Non commettiamo l’errore di ragionare secondo parametri moderni: un tempo fame e malnutrizione erano angoscia quotidiana e non parlo di Medioevo, nell’opima pianura padana, ancora un secolo fa, i registri comunali annotavano casi di pellagra: dare ai propri figli un pezzo di carne poteva significare assicurar loro un futuro. Nelle nostre montagne, ancora nella fascia della mia generazione, si mangiavano regolarmente le bisce da terra, il porcospino e il tasso era considerato una ghiottoneria. Immaginate come poteva essere visto il nobile suino e quanto incerto fosse il suo domani. Ma a parte questo aspetto, fino a settant’anni fa l’economia girava, molto modesta, sull’agricoltura per la stragrande maggioranza delle famiglie italiane. Un danno al raccolto, significava miseria e carestia. Ve lo potete immaginare il contadino di quei tempi, che si rassegna a vedere cavato frumento e patate o distrutto il mais? A non poter dare da mangiare alla propria famiglia per salvaguardare gli equilibri naturali e offrire un pasto ai lupi? Amici del Taccuino, anche se oggi ci stiamo tutti rapidamente impoverendo, noi continuiamo a ragionare da ricchi annoiati e va bene finché potremo perseverare a farlo. Ma un tempo non era così, pensare nel passato ad orde suine libere di scorrazzare e saccheggiare i raccolti è semplicemente una sciocchezza, per i cinghiali il problema non era la sovrappopolazione, ma la risicata sopravvivenza : e infatti si sono estinti. Ma vi è un ultimo aspetto, di natura zoologica, che va conosciuto e sottolineato. I suini, che devastano la nostra terra, non sono il cinghiale autoctono italiano. E questo è un altro tassello che ci fa capire come da noi queste bestie non avrebbero potuto avere grande successo nemmeno in passato. Il cinghiale italiano, per intenderci quello presente in Maremma, è piccolo, con le gambe corte. Un solengo di 85-90 chili era un trofeo che si mostrava per i paesi. Da noi maschi di 180 chili sono assolutamente normali. Cosa è successo? Semplice, in Emilia i cinghiali sono stai introdotti abusivamente dai cacciatori, per fini venatori. E negli anni sono state fatte “porcate” inaudite: ci si è accorti subito che la razza autoctona, con le gambe corte, era assolutamente inadatta a vivere in situazioni di neve alta. E questo è già un bel motivo per capire che di cinghiali autoctoni da noi, anche nei secoli passati, ne sono sempre vissuti pochi. Cosa hanno fatto i cacciatori? Hanno lanciato razze mitteleuropee, più alte e adatte con neve abbondante. Poi i cinghiale autoctono ha sempre avuto un problema, almeno dal punto di vista venatorio: è poco prolifico e molto legato nella fertilità alla presenza di cibo presente. E allora qualche genio venatorio ha avuto l’idea luminosa. Sono state ripetutamente lanciate femmine gravide ibridate con razze scure di maiale domestico, che ha ben altri standard di fertilità, rispetto al cinghiale. Sia chiaro, quanto affermo, lo conosco bene, non vado per ipotesi o fantasie. Io non sono mai stato in antitesi preconcetta verso il mondo venatorio, ma con i cinghiali i cacciatori si sono comportati da delinquenti. E guarda caso, in quello che è stato il loro misfatto peggiore, hanno pure ricevuto l’acquiescenza di parte del mondo ambientalista, perché i cinghiali, o meglio i suini, sono cibo anche per i lupi. E la flora spontanea che si estingue? Ma quale flora, esiste anche questa realtà?
Francesca tu hai poi parlato di cinghiali e agricoltura. Nei prossimi giorni ti risponderà Silvana, che fa l’agricoltore, conosce bene questo mondo e penso avrà parecchi argomenti da trattare. Un saluto a tutti, Riccardo.

Luigi Ghillani
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Re: I cinghiali nel Parco del Taro

Messaggioda Luigi Ghillani » lun 7 mar 2022, 17:14

Il problema di come contenere la fauna invasiva e in particolare la presenza distruttiva dei cinghiali, favorita dalla potente lobby dei cacciatori, esiste eccome. E del resto non mi sembra realistico che tutti gli agricoltori debbano erigere barriere per proteggere le proprie coltivazioni.
Ben vero è che fra la fauna invasiva e distruttiva rimane sempre al primo posto l'uomo visto quello che succede in ogni parte del mondo!
Luigi

frahome
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Re: I cinghiali nel Parco del Taro

Messaggioda frahome » lun 7 mar 2022, 17:38

Grazie Riccardo per queste interessanti informazioni. Se come dici i cinghiali che abbiamo ora hanno caratteristiche diverse dalla popolazione autoctona originale abbiamo di certo un bel grattacapo in più oltre a quello del cambiamento climatico che ha reso gli inverni più miti.
Personalmente non so quale siano le azioni migliori da intraprendere per ristabilire un corretto equilibrio nel quale il cinghiale possa svolgere al meglio il suo originale ruolo ecologico limitando i danni ad altre specie. Poi tutto evolve quindi più che ripristinare, probabilmente sarebbe meglio dire "raggiungere un nuovo equilibrio". Vedo che c'è molta letteratura scientifica a riguardo, dopo una breve ricerca ho per esempio trovato questo studio sulla densità dei cinghiali che tra le aree studio ha anche il Monte Penna:
https://academic.oup.com/jmammal/articl ... #325289881
Ma purtroppo sono tutt'altro che annoiata e non so se riuscirò ad approfondire anche questo ennesimo aspetto seppur molto interessante.
Sarà interessante sentire il punto di vista di Silvana.

riccardo de vivo
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Re: I cinghiali nel Parco del Taro

Messaggioda riccardo de vivo » mar 8 mar 2022, 0:08

Hai assolutamente ragione Francesca, la gestione della Natura nella nostra terra ha un grosso grattacapo. E purtroppo sinora non si è affatto operato con avvedutezza. Ricordo benissimo nel 1997 si tenne a Parma un simposio, cui intervenne un responsabile della provincia di Siena. Si espresse in termini chiari e duri, affermando come da loro i cinghiali fossero totalmente fuori controllo e non sapessero letteralmente più come contenerli. Ci ammonì ad agire tempestivamente o anche noi saremmo finiti come loro. Fu un intervento seguito con distrazione e anche una certa irritazione dall’auditorio: erano gli anni in cui a Parma si lavorava alacremente per introdurre i caprioli e creare da un lato la base di predazione per il lupo e dall’altra la caccia di selezione per il mondo venatorio. Fui l’unico a interessarmi a questo funzionario, davvero molto esperto e preparato. Per oltre un’ora e mezzo mi fornì dati e previsioni, che a venticinque anni di distanza si sono regolarmente avverati. Ma allora nessuno si interessò a lui e a un’esperienza che non era difficile prevedere profetica. Come, allora, nessuno ragionò sul fatto che i caprioli che si stavano immettendo allegramente sul nostro territorio provenissero da province già allora in emergenza per i danni ambientali provocati da questi ungulati. Per questo sono molto pessimista sul futuro, perché l’evoluzione di certe scelte ed azioni era già stata descritta per tempo, quando sarebbe stato facile intervenire con efficacia. Ora la stessa logica e la stessa tipologia di persone sono ancora responsabili della gestione naturale, ma se non vi fu capacità di intervento quando i problemi erano piccoli, come è lecito sperare in un miracolo ora che la situazione è obiettivamente fuori controllo? In origine, nell’ultima decade del secolo scorso, la gestione della nostra provincia qualche impostazione ragionevole l’aveva anche avuta. Per esempio per i cinghiali era stata posta una linea altitudinale, sotto la quale questi ungulati non dovessero essere presenti. Per esempio nel Parco del Taro o in quello dello Stirone questi animali non avrebbero mai dovuto arrivare. Non so come sia ora la legge, ma per certo queste regole allora presenti e assolutamente sensate non vennero minimamente rispettate. Furono quindi gestioni che non seppero nemmeno rispettare le impostazioni che loro stesse si erano date. I risultati sono davanti ai nostri occhi: a 1800 metri, in crinale, praterie fragilissime sono rivoltate senza pietà. Nel Parco del Taro, a 70 metri di altitudine è persino peggio, uno scenario mai visto uguale. O si capisce che gestire significa comprendere le situazioni e intervenire con rapidità e decisione per ristabilire l’equilibrio o altrimenti vivremo fino all’olocausto lo sgretolamento di una Natura, incensata di belle parole, ma poi annichilita da insipienza e incapacità di programmazione.


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